CSDD: non passa la normativa UE sulla supply chain sostenibile

Dopo il no di Germania e Italia la direttiva CSDD non è stata approvata dal Consiglio UE. Cosa succederà ora?

Di Arianna De Felice

Normative - Pubblicato il 01-03-2024

Da diversi anni ormai si parla della direttiva Corporate Sustainability Due Diligence Directive (CSDD) e, proprio in questi giorni, avrebbe dovuto esserci il via libera definito del Consiglio Europeo ma così non è stato. Italia e Germania, infatti, hanno detto no alla delibera della norma e, ora, bisognerà attendere ancora un po’.

Il no alla normativa CSDD 

Come racconta il Finantial Times, nell'articolo da titolo già esplicativo "Germania e Italia silurano la normativa UE sulla supply chain", a bloccare l'approvazione del Consiglio Europeo della normativa sono state la Germania seguita a ruota dall'Italia. Stando a quanto riportato, infatti, la maggioranza è stata bloccata da Berlino e Roma preoccupate sulle ripercussioni che la nuova legislazione potrebbe avere sulla loro attività industriale. 

Durante l'incontro di mercoledì, secondo sempre quanto scritto dal FT, la Francia avrebbe provato a riportare a bordo Germania e Italia, facendo alcune proposte. Parigi, infatti, ha proposto alcune opzioni tra cui l'innalzamento della soglia per il numero di dipendenti o per le entrate per stabilire quali aziende dovranno conformarsi.

La mancata approvazione implica che le istituzioni europee si trovano ora ad affrontare una corsa contro il tempo per far passare la direttiva, dato che il Parlamento UE dovrebbe approvare il testo entro il 15 marzo affinché possa essere adottato prima delle elezioni europee di giugno. Come se non bastasse, la situazione è aggravata dal fatto che la scadenza per ottenere l’approvazione della commissione per gli affari legali (nota come “JURI”), è fissata al 7 marzo.

Di cosa parla la normativa 

La direttiva CSDD stabilisce l’obbligo per le aziende di mitigare il loro impatto negativo sui diritti umani e sull’ambiente, come il lavoro minorile, la schiavitù, lo sfruttamento del lavoro, l’inquinamento, la deforestazione, l’eccesso di acqua e consumo o danni agli ecosistemi.

Se la direttiva dovesse essere approvata le aziende dovranno integrare la due diligence nelle loro politiche e nei sistemi di gestione del rischio, comprese le descrizioni del loro approccio, dei processi e del codice di condotta. Inoltre dovranno adottare un piano che garantisca che il loro modello di business rispetti il limite del riscaldamento globale a 1,5°C.

Nello specifico la normativa si applicherebbe alle imprese con oltre 500 dipendenti e un fatturato mondiale superiore a 150 milioni di euro; alle imprese con più di 250 dipendenti e con un fatturato superiore a 40 milioni di euro se almeno 20 milioni sono realizzati in uno dei seguenti settori: produzione e commercio all'ingrosso di prodotti tessili, abbigliamento e calzature, agricoltura compresa la silvicoltura e pesca, produzione di alimenti e commercio di materie prime agricole, estrazione e commercio all'ingrosso di risorse minerarie o fabbricazione di prodotti correlati e edilizia. Infine includerebbe anche le società extra-UE e le società madri con fatturato equivalente nell’UE.


Potrebbe interessarti

Contatti

redazione@osservatorioeconomiacircolare.it

Ricevi la nostra newsletter

Redazione

Valentina Cinnirella

Direttrice responsabile

Simona Politini

Vicedirettrice responsabile

Osservatorio Economia Circolare è una testata giornalistica registrata al Tribunale di Milano n. 4326/2023

Futurea S.r.l.
Piazza degli Affari 3 | 20123 - Milano (MI)
P.IVA 15942371004 | Cap. sociale € 165.629,55 i.v