Un hub digitale per investire nel mercato delle rinnovabili: un progetto fintech che profuma di responsabilità sociale d’impresa

L’ingegnere Marco Anfuso lancia un appello alle imprese del settore per contrastare il monopolio straniero nella gestione degli impianti fotovoltaici in Sicilia: «Mettiamo a sistema i nostri capitali per beneficiare a vita della produzione di energia»

Di Valentina Cinnirella

People - Pubblicato il 16-04-2023

La Sicilia è di fronte a un paradosso: nella regione più soleggiata d’Italia l’energia fotovoltaica rischia di non essere sostenibile. La corsa di capitali stranieri verso l’appropriazione degli impianti sembra togliere ogni beneficio al territorio, diventando un problema piuttosto che un’opportunità di sviluppo.

La Sicilia però è di fronte anche a una possibilità, quella di cambiare le dinamiche degli investimenti nel settore per poter rimanere padrona delle proprie risorse e della loro produttività: sole, terra, imprenditorialità, impianti fotovoltaici compresi. A lanciare la sfida è Marco Anfuso, CEO di Regran, che insieme alla società di consulenza Futurea sta mettendo a punto un progetto di marketplace evoluto per rivoluzionare l’incontro tra domanda e offerta nel mercato italiano delle rinnovabili.

Per capire bene di cosa si tratta, come funzionerà e qual è il suo valore per la filiera del mercato fotovoltaico occorre partire dal contesto e dal bisogno che hanno generato l’idea.

Ing. Anfuso, di recente ha lanciato un appello agli imprenditori e ai proprietari terrieri siciliani attraverso la pagina Facebook di Regran, l’impresa di progettazione e installazione di energie rinnovabili che lei guida insieme al socio Paolo Grande. Il suo è un invito accorato a fare squadra per scongiurare la colonizzazione di aziende estere. Cosa sta succedendo?

«Succede che noi imprenditori locali realizziamo, ciascuno per le proprie competenze, grandi impianti fotovoltaici nella nostra terra per catturare l’energia del nostro sole, ci occupiamo dell’intera filiera, sviluppiamo tutto dall’inizio alla fine, ma i benefici economici e ambientali volano all’estero. Dunque, a mio parere, c’è un enorme spreco di opportunità e risorse. Fin da quando ho cominciato a lavorare nel fotovoltaico, cioè nell’epoca pioneristica della seconda metà degli anni ’90, si è palesata subito l’esigenza dei clienti di avere un impianto “chiavi in mano”, da qui la mia idea di creare una società che si occupasse dell’intero processo, dall’individuazione del terreno alla manutenzione dei pannelli solari.

Regran progetta e installa impianti pronti all’uso, sia per edifici residenziali che aziendali: seguiamo l’iter di autorizzazione del terreno, progettiamo e montiamo gli impianti, ma possiamo mantenere la proprietà di uno, al massimo due, o comunque pochissimi impianti altrimenti rischiamo di andare in apnea dal punto di vista finanziario. Questo succede a Regran così come alle altre imprese locali. Per la maggior parte dei progetti realizzati quindi l’alternativa che si presenta è sviluppare conto terzi per chi ha grandi flussi di liquidità. E nel 90% dei casi i proprietari degli impianti sono sempre fondi d’investimento esteri.

È chiaro che anche per questa attività ci sono guadagni ingenti e importanti per le nostre realtà imprenditoriali, ma il fatto è che la cifra ricavata dalla vendita dei terreni, come dall’ingegneria e dallo sviluppo, sono e saranno sempre minori rispetto a quella che si guadagna nel tempo mantenendo la proprietà degli impianti. Perché il vero valore aggiunto del fotovoltaico arriva dopo l’accensione dell’impianto, cioè dai ricavi che derivano dalla produzione di energia elettrica. Chiarisco con un esempio: poniamo il caso che un proprietario terriero guadagni 70mila euro all’ettaro per la cessione di un terreno su cui installare l’impianto solare. È un introito significativo, però, se il proprietario investe una quota nella realizzazione dell’impianto, partecipando dunque alla società proprietaria dell’impianto stesso, quei 70mila euro li guadagnerà in pochi anni e poi continuerà ad avere importanti introiti per decenni grazie alla vendita dell’energia prodotta. Il vero valore economico sta nella rendita finanziaria a lungo termine. Quindi, al momento attuale, le imprese e i proprietari locali intascano una cifra “una tantum”, mentre il guadagno più grande e duraturo finisce in capitali stranieri. Ecco perché parlo di spreco di risorse».

La soluzione che lei propone è un progetto di rete che definisce “rivoluzionario”. Come funziona? 

«La differenza tra l’imprenditoria locale e quella multinazionale straniera è sostanzialmente il divario finanziario. Noi abbiamo le idee, le competenze, le tecnologie, le risorse, ma ci mancano singolarmente grandi capitali. E se mettessimo le nostre competenze e i nostri capitali in rete? L’unione fa la forza e in questo caso anche la sostenibilità. Il progetto che stiamo implementando con Futurea intende unire e riunire gli investitori locali cosicché ciascuno, con la propria quota, sia padrone di quote degli impianti e quindi goda delle rendite che la produzione di energia garantisce anno dopo anno. Ben venga la liquidità straniera a contribuire, ma in questo caso saremo noi padroni di casa a tenere il timone. In questo modo una fetta del valore dell’energia prodotta rimane in Sicilia, garantendo ricavi nel lungo termine anche alle imprese dell’isola e alle aziende italiane che vorranno investire insieme a noi».

Con quale modalità intendete unire gli investitori?

«Lo strumento migliore e più democratico è la digitalizzazione. Stiamo progettando un hub digitale che coinvolga tutti i soggetti che lavorano nella filiera delle energie rinnovabili: proprietari di terreni e spazi adatti alla produzione di energie alternative; ingegneri, imprese, tecnici specializzati in progettazione, installazione, connessione alla rete nazionale e monitoraggio degli impianti; utilizzatori di energia rinnovabile e coloro che sono interessati a ottenere un rendimento verde. In altre parole tutti gli attori attuali e futuri dell’ecosistema della sostenibilità. L’obiettivo è un futuro orientato all’apertura e alla condivisione di servizi in un mercato sempre più in crescita come quello delle fonti rinnovabili».

I fondatori di Regran Paolo Grande e Marco Anfuso

Di recente il presidente della Regione Siciliana Renato Schifani ha annunciato di voler bloccare le autorizzazioni agli impianti fotovoltaici perché l’utile d’impresa non collima con l’utile sociale. Ha detto che occorre valutare il danno ambientale, che il fotovoltaico non porta lavoro e non consente di ridurre il costo delle bollette dei siciliani. Il ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso ha invece ribadito che invece i pannelli solari sono una grande scommessa per la regione. Cosa pensa a riguardo?

«Di fatto anche dal dibattito politico affiora il malcontento che serpeggia in Sicilia per le mancate opportunità nel settore fotovoltaico. Al momento vedo la stessa brutta piega che si è creata per il petrolio e l’eolico: americani, cinesi e altri europei vengono nell’isola per attingere dalle sue risorse, ma non lasciano nulla, nemmeno i talenti. Nel team di Regran lavorano tanti bravi ingegneri siciliani, ma alcuni fra i più esperienti sono andati via perché pagati a peso d’oro dalle multinazionali estere per fare i loro interessi. Non voglio restare inerme di fronte a questo scenario, ma sono convinto che lo stop alle autorizzazioni non sia la soluzione. L’alternativa per noi siciliani è entrare nel business dalla porta principale, come investitori e non soltanto come esecutori. Per “porta principale” intendo chiaramente la proprietà delle società che si occupano della produzione di energia e che quindi godono della sua rendita finanziaria garantita».

Definirebbe il progetto di Regran e Futurea un’attività di responsabilità sociale d’impresa?

«Sì, lo è. Penso a mia figlia, al suo futuro in questa terra e voglio fare qualcosa per lei e la sua generazione. Spendermi nel mio campo, portare innovazione con le energie rinnovabili è ciò che può riuscirmi meglio, soprattutto adesso che l’attenzione per le fonti sostenibili è entrata nella testa di tutti, in primis in quella dei decisori politici e delle grandi lobby finanziarie. In fondo, gli impianti solari ben costruiti sono un investimento pressoché sicuro, con bassi rischi anche grazie alle assicurazioni. L’idea di mettere a sistema la filiera delle rinnovabili in una piattaforma digitale rientra a pieno titolo, non soltanto nella fintech, ma soprattutto nella finanza sostenibile. Penso anche al soddisfacimento di un bisogno sempre più urgente come l’indipendenza energetica, e alla possibilità di scalabilità del servizio, permettendo, grazie alla digitalizzazione, la gestione di grandi volumi di transazioni e il rapido raggiungimento di un vasto pubblico. Nel nostro marketplace innovativo i competitor diventeranno alleati perché insieme condivideremo obiettivi economici, sociali e ambientali più grandi e più potenti di quelli che possiamo raggiungere singolarmente».


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