Microplastiche e nanoparticelle nel corpo umano: arrivano tramite i vegetali

Ultimamente se ne parla molto. Le nano e le microplastiche sono delle insidie presenti ovunque, ma cosa sono esattamente? Scopriamolo attraverso il racconto di uno studio dell'Università di Catania

Di Clarissa Cusimano

Ricerche e Pubblicazioni - Pubblicato il 29-06-2022

Con i termini "nanoplastiche e microplastiche" ci riferiamo a dei minuscoli pezzi di materiale plastico, dalle dimensioni comprese tra gli 0,0001 e i 5 millimetri. Tra i più noti compaiono polietilene (PE), polipropilene (PP), polistirene (PS), polietilene tereftalato (PET), polivinil cloruro (PVC), poliammide (nylon) e etilene vinil acetato (EVA).

Questi materiali possono avere origine naturale o artificiale. Sono detti, infatti, "primari", quando costruiti intenzionalmente dall’uomo e "secondari" quando si sviluppano a seguito dalla degradazione naturale della plastica.

Sono numerose le ricerche attualmente in corso che tentano di spiegare gli effetti delle microplastiche sul corpo umano e sull'ambiente. Con il tempo, l'interesse rivolto allo studio di queste sostanze è cresciuto in modo esponenziale. Vediamo insieme ciò che è stato finora scoperto.

Nanoparticelle e microplastiche: quali sono le conseguenze su salute e ambiente

Studi di qualche anno fa avevano riscontrato la presenza delle microplastiche nelle acque di mari, oceani, fiumi e laghi; successivamente, anche nelle nevi, in molluschi e pesci, sui monti, nelle acque delle falde acquifere e persino in quella dei rubinetti delle nostre case.

E proprio sull'acqua si è concentrata Altroconsumo, che ha condotto una ricerca sulla qualità dell’acqua delle fontane di 35 città italiane. Uno dei parametri era proprio la presenza di microplastiche. Questi materiali sono stati trovati nella misura che va da minimo 18 particelle per litro a massimo 373, con una media di 88.

Le sostanze maggiormente presenti si sono rivelate il polietilene (PE) e il polipropilene (PP), molto utilizzate per la realizzazione di imballaggi.

Che le microplastiche stiano contaminando l'ambiente era un dato assodato già qualche anno fa, mentre solo di recente si è dimostrato che anche i cibi che ingeriamo sono inquinati da queste sostanze.

Alcuni studi, infatti, hanno evidenziato che le principali minacce per i prodotti alimentari siano gli imballaggi, tramite cui sono disponibili in commercio, e i contenitori domestici tradizionali.

Varie ricerche hanno accertato, ad esempio, che miliardi di micro e nanoparticelle vengono rilasciate nelle bevande attraverso i tappi delle bottiglie in cui sono contenute, nel latte durante il processo di riscaldamento del biberon e nel tè tramite le sue bustine.

Vi chiederete adesso cosa accade alle nanoparticelle una volta che le ingeriamo; quelle più voluminose verrebbero escrete attraverso le feci, mentre le più piccole verrebbero accumulate dall'organismo. Ed è proprio l’effetto di accumulo che preoccupa attualmente gli studiosi, per via del possibile trasferimento dai linfonodi a organi essenziali come i reni, l’intestino, il cervello, il fegato o la placenta. Inoltre, l'accumulo di plastica all'interno dell'organismo favorirebbe l’insediamento di specie batteriche, virali e fungine.

Ciò che spaventa è che questi materiali non avrebbero invaso solo le bevande. Per la prima volta al mondo, infatti, un'università ha rinvenuto tracce di microplastiche anche nei prodotti che la terra ci offre.

Nanomateriali in frutta e verdura: la scoperta sconcertante durante uno studio

Le microplastiche hanno contaminato anche mele, pere, patate, carote, lattuga e broccoli. È questa la scoperta sconcertante fatta dall’Università di Catania e pubblicata nello studio dal titolo "Micro and nano-plastics in edible fruit and vegetables. The first diet risks assessment for the general population".

L'ateneo ha rinvenuto, per la prima volta al mondo, alte concentrazioni di questi materiali, che, una volta degradati dal terreno, verrebbero assorbiti da frutta e verdura e di conseguenza assunti dalle persone.

Gli studi precedenti si erano concentrati sulle cellule vegetali di semi, radici, culmi, foglie e frutti, mentre la ricerca in questione sarebbe la prima e unica a essersi focalizzata sulle piante commestibili.

In base allo studio, si legge che "con dimensioni medie da 1,51 a 2,52 micron, le micro-plastiche degradate hanno un range quantitativo medio da 223mila a 97.800 particelle per grammo di vegetale rispettivamente in frutta e verdura."

Ciò significa che, ogni giorno, ciascuno di noi assumerebbe in media 10 micron di plastica.

“Abbiamo potuto realizzare questo studio – spiega Margherita Ferrante, docente di Igiene generale e applicata all’Università di Catania, nonché direttore del Laboratorio (ndr) – grazie ad un nuovo macchinario di analisi, che abbiamo brevettato quest’anno e che ci permette di analizzare particelle piccolissime delle dimensioni inferiori ai 10 micron fino a 100 nano-metri. Fino ad ora non si era riusciti ad osservare micro-plastiche di dimensioni più piccole del mezzo millimetro”.

Le mele sono risultate i campioni di frutta più contaminati, mentre le carote quelle più inquinate per quanto riguarda la verdura. In generale, si può ipotizzare che i frutti contengano più microplastiche non solo per l'elevatissima vascolarizzazione della polpa del frutto, ma anche per la maggiore dimensione e complessità dell'apparato radicale e dell'età dell'albero rispetto ai vegetali.

Ora EFSA, l'Agenzia Europea per la Sicurezza Alimentare, ha messo in allerta la Commissione Europea in modo che valuti più accuratamente i potenziali rischi della presenza di micro e nanoparticelle negli alimenti.

Ciononostante, la maggior parte delle istituzioni, tra cui l'OMS, ritiene che i livelli di inquinamento attuali non siano da considerarsi ancora pericolosi per la salute umana. Invita, in ogni caso, all'approfondimento ulteriore dell'argomento e all'intraprendenza di misure preventive.

La ricerca dell'Università di Catania, però, avverte che la generale mancanza di comprensione del destino e degli effetti dei nanomateriali nei sistemi agricoli è problematica, dato il potenziale di contaminazione della catena alimentare.

 


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